Cronaca
17 Novembre 2018
Secondo l'ingegner Chiari, il piede di appoggio era sottodimensionato, non armato e subì pressioni 'di taglio' che portarono al cedimento improvviso

Tragedia di Valle Lepri, il perito in aula: “Cedimento improvviso del calcestruzzo, come il Ponte Morandi”

di Ruggero Veronese | 3 min

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La tragica morte di Fabrizio Veronese e Guglielmo Bellan nella chiusa di Valle Lepri, dove i due tecnici erano al lavoro per un lavoro di manutenzione, fu causata dal cedimento di una piccola porzione di calcestruzzo, sulla quale poggiava e faceva pressione il piede d’appoggio del bancone di acciaio che arginava l’acqua. È una tesi esposta senza la minima incertezza quella del perito del tribunale, l’ingegner Chiari, che venerdì pomeriggio ha ricostruito in aula i drammatici istanti del 22 febbraio 2013. Nel processo sono imputati Ettore Alberani, delegato alla gestione dell’Idrovia ferrarese, Bruno Droghetti, progettista e direttore dei lavori di manutenzione;  Vittorino Malagò, coordinatore della sicurezza; l’amministratrice della General Montaggi Industriali (Gmi) Maria Antonietta Strazzullo e il direttore tecnico del cantiere per la Gmi, Federico Tito.

Il tribunale deve chiarire le eventuali responsabilità di tecnici, progettisti ed enti di controllo nella morte di Veronese e Bellan, che furono travolti e sommersi all’improvviso da un’ondata d’acqua mentre lavoravano nella conca prosciugata dalla chiusa. Chiari ha parlato di una “cinematica molto chiara e condivisa tra i consulenti di quasi tutte le parti”: secondo il perito infatti il bancone di acciaio provvisorio che bloccava l’accesso dell’acqua durante i lavori poggiava sulla struttura con un punto d’appoggio (anche esso provvisorio) troppo piccolo e non abbastanza solido: un dente di calcestruzzo non rinforzato e, secondo Chiari, sottodimensionato per sopportare la pressione dell’acqua in quel punto, pari a circa 38 megapascal.

Il lungo botta e risposta tra gli avvocati difensori e l’ingegnere Chiari ha riguardato ovviamente il ruolo che le varie parti avevano nella progettazione o nei controlli del bancone di acciaio e del suo appoggio in calcestruzzo, indicato dal perito come elemento critico dell’opera. Appurato infatti che fu il progettista Bruno Droghetti a preparare un progetto di massima del pezzo, Chiari ha specificato che a quell’elaborato non seguì un vero e proprio progetto esecutivo e che non furono fatti nuovi calcoli e valutazioni per saggiarne la tenuta. Il perito ha parlato di una serie di “peccati veniali”, la cui somma potrebbe però aver avuto un ruolo determinante nella tragedia: fu infatti un “peccato veniale” da parte del progettista basare i propri calcoli sui vecchi valori sul calcestruzzo di qualche decennio fa, così come il non richiedere un elaborato definitivo da parte del coordinatore alla sicurezza.

Quel che è certo, secondo il perito, è che il dente di calcestruzzo non era adatto allo scopo, anche per la sua forma non perfettamente aderente e ortogonale rispetto al piede di acciaio che gli poggiava contro, e che ha finito così per trasmettere sollecitazioni ‘di taglio’ su un calcestruzzo non armato, che hanno portato a un cedimento totale e improvviso (una ‘rottura fragile’). Sul motivo per cui la parete metallica ha retto durante la prima fase dei lavori, per poi collassare, Chiari ha citato l’esempio ormai noto del Ponte Morandi di Genova: “Ha retto per 50 anni per poi crollare all’improvviso, perché nel calcestruzzo le microfessure si propagano con le sollecitazioni e portano a rotture impreviste e imprevedibili. Quando si lavora su strutture esistenti bisogna acquisire una certa conoscenza e quando si hanno dei dubbi bisogna essere molto prudenti. Non è detto che si possa sapere tutto o ‘sforacchiare’ un’intera opera per ricavare campioni da analizzare, ma nell’incertezza bisogna avere misure di cautela anche superiori al necessario”.

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